Diverso Lontano Incomprensibile

“Indonesiana” – Diverso Lontano Incomprensibile (ART196 2020)

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Diverso Lontano Incomprensibile è un disco che giunge a coronamento di anni di studio e perfezionamento, una dichiarazione molto forte da parte della cantante, che è autrice della maggior parte delle musiche, dei testi e degli arrangiamenti. Vanessa ha cercato in tutti i modi di eludere una certa idea di armonia, traendo ispirazione dalla musica orientale e mediorientale, dalla musica spettrale francese del Novecento e in parte dal free jazz. Le diverse lingue in cui ha cantato consentono alla sua ricerca timbrica di svilupparsi verso idiomi diversificati che contengono un diverso approccio ritmico e melodico, accenti e intenzioni diverse da quelle consuete. A fianco di una formazione più propriamente jazz composta da Francesco Bearzatti al clarinetto, Paolo Birro al pianoforte, Enrico Terragnoli alla chitarra elettrica, banjo e podofono, Salvatore Maiore al violoncello e contrabbasso, Giovanni Maier al contrabbasso e Michele Rabbia alla batteria si affiancano musicisti di formazione classica come Laura Masotto al violino, Stefano Menato al clarinetto secondo e Cmelody sax , Eva Impellizzeri alla viola e Leonardo Sapere al violoncello.

“Orchidea Song” – Diverso Lontano Incomprensibile (ART196 2020)

È la stessa Vanessa che racconta come nasce Diverso Lontano Incomprensibile:

“Diverso è chi non reitera la forma e le consuetudini della società in cui si trova, Lontano è chi sente la sproporzione tra il luogo in cui si trova e l’altrove, Incomprensibile è tutto ciò che non abbiamo ancora sognato. In questo lavoro io ho interiorizzato tutte le meraviglie che man mano scoprivo cercando tra culture e dimensioni che mi affascinano e che sembrassero lontane da quello che vedevo e sentivo attorno a me. La ricchezza timbrica e fonetica, ritmica e sintattica del mio linguaggio musicale si arricchisce e si rinnova incorporando i suoni delle altre lingue in cui canto. Nella musica araba, la parola del poeta che viene musicata dal compositore e poi interpretata da chi canta, vive in una dimensione tutta al servizio del significato, per consentire all’ascoltatore di raggiungere il Tarab, un luogo di estasi e in qualche modo anche di sogno e quindi, appunto, di reciproca comprensione tra chi canta e chi ascolta, in una profonda compenetrazione emotiva. La mia immaginazione musicale, sottoposta al paesaggio sonoro e immersa nel canto degli uccelli, come guida ultraterrena che già contiene e svela il mondo, si è scatenata talvolta, verso linee melodiche prive di testo. Con riferimento alla straordinaria lezione di Olivier Messiaen, che mi ha influenzato, e all’esperienza dei grandi compositori del Novecento a cui mi sono ispirata che sono Claude Debussy, Alexander Scriabin, Bix Beiderbecke e Gerard Grisey su tutti, sono scaturiti brani sinuosi e dissonanti e gli arrangiamenti orchestrali a sostegno di tutte le mie suggestioni giavanesi, thailandesi e vietnamite. Ho cercato un altrove rispetto a quello che conosco e che mi circonda oggi. Non si tratta di una alternativa al genere che canto io di solito, mi piace il jazz delle origini perché ha saputo attingere dalla musicalità africana come da quella orientale, dalla musica dei compositori europei come dalle culture tradizionali. Mi piace il jazz delle origini perché è politematico, mi piace perché chi canta pensa a quello che sta dicendo e la parola non è un ostacolo alla musica, anzi è un trampolino per rinnovare il fraseggio. In questo senso io ho fatto un disco tradizionale, però è Diverso, Lontano e Incomprensibile.